
Gravidanza nei climber, l’esperienza della Reffo family
La nostra collaborazione con Silvio negli scorsi anni è sempre stata a 360°, sin da subito non abbiamo voluto legarci a lui non solo come climber, ma anche come giovane uomo con una propria vita, professione e competenze. Così era nata la rubrica legata alla sua attività di fisioterapista, incentrata sull’allenamento, sul riscaldamento e sugli infortuni tipici di questo sport. Da alcuni mesi nella vita di Silvio è esplosa una rivoluzione: la gravidanza della sua compagna Francesca. Da qui l’idea di rinnovare la sua rubrica, dedicandola alla nuova vita verticale da papà… “Come vive la quotidianità della propria vita lavorativa, sportiva e familiare di un top climber come lui”? Si saranno chiesti molti appassionati. Silvio ce lo svelerà in questa prima puntata e nelle prossime. Stay tuned…
“Sono passati 24 mesi, 3 settimane e 4 giorni da quando un semplice stick di plastica, con le sue linee colorate, annunciava l’arrivo di una rivoluzione che, a breve, avrebbe sconvolto le nostre vite. Eccole lì, 2 piccole linee che compaiono in pochi secondi di un’attesa che, in realtà, sembra infinita…un figlio! Un’emozione difficile da descrivere, chi l’ha provata può senz’altro comprendere lo stato di eccitazione, mista a non poca paura, di quei momenti.
Francesca e io siamo una coppia nella vita e l’arrampicata è elemento essenziale della nostra quotidianità. Ci siamo incontrati grazie a questo sport, ci siamo innamorati in parte anche spinti dalla condivisione di questa passione, o meglio, di questo “modus vivendi” comune e, negli anni, abbiamo viaggiato, ci siamo allenati e abbiamo scalato tanto, sempre insieme, cercando, ognuno con i propri obiettivi, di sostenerci e condividere ogni momento, ogni soddisfazione e delusione che questa attività inevitabilmente comporta, dedicandole il giusto spazio, tra i numerosi impegni lavorativi.
Devo dire che tutto era piuttosto semplice, non ci si poneva particolari problemi sulle caratteristiche della falesia dove recarsi, sul tipo di avvicinamento, sulle condizioni meteo della giornata, se saremmo riusciti o no a mangiare (ci si portava dietro 2 barrette e qualche banana perlopiù e solo se me lo ricordavo io!)…di fatto, l’obiettivo era solo e sempre quello di scalare e divertirsi. Lei, io e i nostri inseparabili amici climbers.
Quella mattina, tanto per cambiare, eravamo a scalare in una falesia nel Veronese, vicino a casa. Francesca non stava bene, infatti, non scalava e, tra una sicura e l’altra, rimaneva sdraiata a godersi il sole e gestire una nausea fastidiosa. Cercando un po’ le cause di quel malessere strano, ci accorgiamo del ritardo del ciclo mestruale e, quasi scherzando, acquistiamo un self-test per gravidanza. Ed eccoci lì, pochi istanti più tardi, con lo stick in mano, gli occhi lucidi dall’emozione e il cuore che batte all’impazzata. Aspettavamo un figlio…
Eravamo felici di ciò che questo potesse significare (o, perlomeno, di ciò che prima di diventare genitori si pensa possa significare) e, ovviamente, ci interrogavamo sul futuro, su cosa ne sarebbe stato delle nostre passioni, del lavoro e delle nostre vite, con un frugoletto a far parte della famiglia.
Nelle settimane seguenti, camminavo sulle nuvole al pensiero di tutto questo, invece, le nausee e il malessere di Francesca non accennavano a diminuire, anzi, diciamo sinceramente nei mesi successivi sono peggiorate senza tregua. Andare in falesia, scalare, allenarsi e chiudere i nostri progetti insieme, è diventato man mano impossibile. Lei non riusciva più a “possedere” la sua vita e io perdevo, anche se solo temporaneamente, la mia compagna di scalata. La gravidanza, dal punto di vista biologico, procedeva alla grande ed eravamo felicissimi di questo, ma le nostre giornate verticali insieme, felici e spensierate, ormai erano solo un bel ricordo.
Durante il week-end io andavo a scalare, ora un solo giorno su due, con gli amici, ma non era più la stessa cosa, senza di lei e, soprattutto, sapendola in quello stato. Vivevo un inevitabile senso di colpa nell’essere lì, a scalare, all’aria aperta, a godere ancora della nostra passione, mentre lei si trascinava dal letto al divano nel combattere nausee, stanchezza e vomito.
Non tutte le gravidanze sono uguali, questa è solo la nostra esperienza, ma ciò che è certo è che per una donna con una grande passione sportiva una gravidanza caratterizzata dal malessere costante, quotidiano, un malessere che ti rende faticoso anche solo camminare per strada, probabilmente, è ancora più difficile da gestire ed accettare. Per fortuna, negli ultimi mesi di gravidanza, i disturbi si sono un pochino attenuati e ciò le ha permesso di respirare e rivivere, anche se solo da spettatrice, qualche giornata in falesia.
Ogni tanto riuscivo a togliermi qualche soddisfazione, ma devo ammettere che non aveva lo stesso sapore di prima, nel condividerlo davvero insieme. Non vedevo l’ora di ritornare a scalare con Francesca e far scoprire il mondo al nostro bambino.
E, una sera, eccoci a chiederci se si fossero effettivamente rotte le acque, la corsa in ospedale e, finalmente, l’inizio di quella vita sognata ma anche un po’ temuta, con te tra le nostre braccia…
Che ne sarà ora della nostra famiglia arrampicatrice?”