
Giordani: “Meglio un capolavoro incompiuto che un’opera sfigurata”
I più avvezzi alla storia dell’alpinismo riconosceranno presto sul finale di questo racconto di Maurizio il riferimento al famoso articolo di Rehinold Messner. Pubblicato nel ’68 su Alpinismus, si rifaceva alla mitologia mitteleuropa “L’impossibile in montagna è stato eliminato, il drago è morto avvelenato e l’eroe Sigfrido è disoccupato”. In realtà Messner voleva esprime una metafora dell’alpinismo del teampo che stava attraversando un periodo in cui l’avvento dell’arrampicata artificiale spinta aveva di fatto bloccato l’evoluzione dell’arrampicata pura, in libera. Cosa c’entra un vecchio articolo con la recente spedizione che ha visto coinvolti, supportati da Climbing Technology, il trio composto da Maurizio, Mirco Grasso e Francesco Favilli insieme a Hervè Barmasse? C’entra, c’entra. Perché nel report che Maurizio ci ha mandato c’è la storia del suo primo, avanguardistico tentativo alla parete Nord-Ovest del Cerro Piergiorgio, tutt’oggi inviolata. Un tentativo che arrivò molto in alto, tanto da meritarsi un nome: “Gringos Locos”.
Dopo altri quattro tentativi, l’ultimo proprio il loro, in 24 anni nessuno è mai più riuscito a raggiungere il punto massimo. Di fronte a questo dato di fatto Maurizio esprime il desiderio che chiunque si approcci a questa linea con l’obiettivo di concluderla, finalmente, fino in vetta lo faccia nel rispetto dei mezzi leali con cui, nel ’95, lui e Gianluca Maspes l’avevano tracciata. Complimenti dunque ai quattro per questo nuovo tentativo, sfortunato per il maltempo e… lunga vita al drago! Perché vale di più un tentativo realizzato con stile pulito che una via conclusa con ogni mezzo.
Nessuna possibilità
“Gringos Locos, il nostro (mio e di Luca) tentativo del 1995 di salire nella sua parte centrale la parete nord/ovest del Cerro Pier Giorgio è ancora là, incompleto. Per la terza volta ho tentato, con tutte le carte in regola per riuscire, ma alla fine ho dovuto desistere nuovamente… troppo vento, insistente e furioso, e solo un’unica non sufficiente giornata buona per poter scalare su quella compatta, verticale roccia di giallo/rosso solido granito. Alla fine, con Hervè Barmasse, Francesco Favilli, Mirco Grasso e Paolo Sartori (aggregatosi come fotografo) abbiamo deciso di sfruttare quella bella giornata del 26 dicembre per salire una vetta alternativa, il Cerro Domo Blanco, anziché provare a scalare su Gringos Locos e la scelta si è rivelata azzeccata dato che altrimenti non avremmo portato a casa nemmeno una di quelle fantastiche immagini di montagna che abbiamo catturato lungo la via di salita e sulla cima, balcone panoramico incredibile su quelle che definisco senza nessuna titubanza “fra le montagne più belle e difficili del mondo”. Il Cerro Piergiorgio a sinistra, il Cerro Fitz Roy davanti e il Cerro Torre a destra, con tutti i loro satelliti attorno e l’infinito Jelo Continental dietro nella rarissima, incredibile quiete di una giornata di bel tempo è un’immagine impressa nella mente (oltre che nelle fotocamere) che faremo fatica a dimenticare. Poi la discesa, sotto la parete Ovest del Piergiorgio, in cinque con sole tre piccozze (una è stata dimenticata e una persa…) lungo pendii di ghiaccio ripido dove è meglio non commettere errori, sotto una continua, snervante pioggia di ghiaccio che a causa del calore del sole si stacca dalle rocce in alto tutte incrostate di bianco e ci piomba addosso. Infine, il bivacco alla base della grande parete, dove abbiamo fissato il nostro campo avanzato e da dove decidiamo di portare a valle tutto il materiale, il giorno seguente, quando ci svegliamo con il vento che urla rabbioso e le nuvole della tempesta aggrappate alla montagna…
Storia della linea
I quattro tentativi falliti e 200 chilometri di “trekking estremo” di avvicinamento (così lo chiama Hervè) sono sufficienti e non ci sembra il caso di insistere oltre. A parte il tempo di permanenza programmato a “Los Glaciares” che ormai si sta riducendo veloce, rimane la consapevolezza che le previsioni meteo a lungo termine non promettono nulla di buono, negando quei tre/quattro giorni di bel tempo indispensabili per avere qualche speranza di portare a termine il progetto, che ancora una volta si rivela più “ardito” del previsto. Nella mia memoria rimane il ricordo di magnifiche, piacevoli giornate di scalata con Luca, nella primavera australe del 1995, su roccia estremamente impegnativa ma sicuramente al nostro livello e quel repentino, improvviso peggioramento meteo che ci sorprende sul ventiduesimo tiro di corda rompendo un sogno già pressoché realizzato che, in seguito, si rivelerà quasi irrealizzabile. Un anno dopo il ritorno alla base della parete con in regalo una lunga sequenza di belle giornate di tempo buono che non riusciamo a sfruttare per completare “Gringos Locos” a causa della nostra errata programmazione che ci ha portato a sottovalutare la quantità e tipologia di materiale necessario. In quell’occasione raggiungiamo la vetta per una nuova via più facile che chiamiamo “Esperando la cumbre” ma non riusciamo a mettere le mani su Gringos Locos.
Poi un ulteriore tentativo di Luca, nel 2007, quando raggruppa un agguerrito team di forti scalatori che, a causa di un incidente imprevisto, nemmeno arrivano al grande “corazon”, a circa metà parete. Infine, l’ultimo tentativo, questo, che conferma l’estrema difficoltà a chiudere i conti con un percorso che, per le sue caratteristiche, è unico o raro in Patagonia e nel mondo. Del resto se dopo 23 anni e quattro tentativi falliti la via è ancora lì da terminare (mancherebbero solo pochi metri al raccordo con la via “del Hermano ” che porta in vetta) un motivo importante pur ci sarà.
Cosa voglio dire… il muro è alto 900 metri e per i primi 700 si presenta compatto e verticale, senza cenge o punti di cedimento. L’esposizione è in pieno vento, verso ovest, senza riparo alcuno.
Una speranza per il futuro
La tipologia di scalata espressa nel primo tentativo è stata di altissimo livello, con pochissimo materiale utilizzato, cosa che delimita una scelta etica invalicabile, salvo non si voglia “rovinare” completamente l’itinerario già percorso. Riproporre quindi la salita nello stesso stile richiama ad alcune necessità irrinunciabili; più giorni di bel tempo stabile senza vento e scalatori che sappiano salire su altissime difficoltà con pochi chiodi e senza forare ulteriormente la roccia. Ecco l’arcano. Mettere assieme queste due cose su una delle pareti di roccia esteticamente più belle e tecnicamente più difficili sembra complicato ma spero che non si voglia in futuro uccidere il drago a tutti i costi, assediando la via è sfruttando ogni mezzo per averne ragione.
Alpinisti armati di arroganza, tempo e ferraglia varia possono salire dovunque oggi ma preferirei che Gringos Locos rimanesse un tentativo fallito piuttosto che un’opera d’arte sfigurata dalla prepotenza… chi vivrà vedrà.
26/12/2018
Cerro Domo Blanco 2507 m
Hervè Barmasse, Francesco Favilli, Mirco Grasso, Maurizio Giordani e Paolo Sartori
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