
Due amici di Climbing Technology: Alberto Benchimol e Silvia Parente
Nella cornice del Rock Spot di Pero siamo felici di incontrare due amici di Climbing Technology: Alberto Benchimol e Silvia Parente della Fondazione per lo sport Silvia Rinaldi Onlus di Bologna.
Una collaborazione che dura ormai da tre anni quello che lega Climbing Technology con la Fondazione bolognese. Stabile perché nata su un concetto che sta a cuore ad entrambi: diffondere la cultura dello sport inteso come strumento di crescita fisica e sociale.
Chiediamo ad Alberto – Segretario Generale della Fondazione – come è nata questa collaborazione.
“La nostra Fondazione è un ente filantropico e ha come obiettivo la promozione dello sport, visto come veicolo di benessere e di inclusione sociale. Da tempo eravamo alla ricerca di un partner che sostenesse la nostra Fondazione, non soltanto dal punto di vista economico, ma che condividesse i nostri valori e desse un concreto valore aggiunto alla nostra causa. In Climbing Technology abbiamo incontrato persone cordiali e appassionate, desiderose di dare un forte contributo alla nostra causa sociale”.
Che tipo di collaborazione esiste tra le due realtà?
“Per facilitare l’approccio allo sport, da parte dei bambini e dei ragazzi con disabilità, siamo alla ricerca di realtà imprenditoriali disponibili a darci occasioni di crescita reciproca.
Climbing Technology progetta e realizza dispositivi per la sicurezza individuale e noi, tra le nostre attività offerte ai ragazzi, abbiamo l’arrampicata. Oltre a un contributo economico Climbing Technology ha fornito materiale che viene usato ogni giorno in palestra dai nostri corsisti affetti da diversi tipi di disabilità: dai ragazzi con problemi relazionali a quelli fisici”.
L’utilizzo da parte di persone disabili dei dispositivi Climbing Technology è un’occasione preziosa anche per avere feedback sulla facilità del loro utilizzo. Inoltre, imparare ad utilizzare un attrezzo e automatizzare alcuni movimenti per una persona disabile può costituire una difficoltà, ecco perché se queste azioni sono poche e semplici tutto diventa più facile.
“Attraverso i corsi organizzati facilitiamo la pratica dell’arrampicata sportiva presso i giovani con disabilità, integrandoli con i propri coetanei normodotati. Queste attività sono diventate una prassi nel nostro territorio, inoltre, abbiamo contributo economicamente alla realizzazione di una palestra di arrampicata in una scuola superiore della provincia di Bologna dove l’arrampicata è diventata oramai un’attività curriculare.
A tutti gli allievi facciamo provare il Click Up: soprattutto nel caso della disabilità visiva il feedback sonoro, che corrisponde all’arresto della corda e ne assicura il funzionamento, sono elementi a cui non possiamo rinunciare. Queste caratteristiche, inoltre, fanno sì che la persona non vedente sia perfettamente in grado di fare sicura in totale autonomia: si può facilmente immaginare cosa significhi questo per un disabile ”.
Anche Silvia – Atleta paraolimpica plurimedagliata; Presidente della Fondazione – è entusiasta del Click Up. “Mi piace molto prima di tutto perché ci sta anche nella mia mano, che è piccola, e poi è leggero. La cosa però che apprezzo di più è il fatto che sia a prova di errore. Per persone come me, non vedenti, il montaggio sbagliato o al contrario del dispositivo ha sempre comportato un grosso problema che invece con il Click Up è stato risolto. Infine, cosa non da poco, è più semplice dare corda mentre si fa sicura”.
Come Fondazione avete inserito l’arrampicata all’interno di un’offerta sportiva molto più ampia, che aumenta di anno in anno, ma come vengono presentate e soprattutto accettate le vostre proposte?
Risponde Alberto: “È un lavoro di concertazione tra noi e le famiglie. Come offerta l’arrampicata è uno sport che è piaciuto e piace tantissimo. Abbiamo iniziato anni fa con lo sci, visto che noi tutti siamo sciatori olimpici paralimpici, ma in questo momento risulta costoso per le famiglie ed ha l’aggravante di essere stagionale. L’arrampicata, invece, si può fare sia indoor che outdoor, costa poco ed è più friendly.”
“Lo scoglio più grande è far comprendere alle famiglie – continua Silvia – che tenere un figlio disabile in casa è un limite da superare. Lo sport, soprattutto se praticato in compagnia e all’aria aperta, può alleviare alcuni sintomi della disabilità e, addirittura, prevenire alcuni gravi problemi: sto pensando, per esempio, all’obesità. È scientificamente provato che fare sport nell’adolescenza riduce del 30% la probabilità di incorrere in questo problema nell’età adulta”.
Chi invece il problema l’ha già incontrato, che benefici può ottenere praticando uno sport come l’arrampicata? Non è pericoloso, per esempio, non vedere dove sono le prese in parete?
Silvia a questo proposito non ha dubbi: “Fare sport mi ha cambiato la vita. È necessario cambiare il punto di vista. Occorre partire dal presupposto che tutto si può provare, tutte le attività possono dare dei benefici, basta solo alzare l’asticella e non vedere i limiti prima delle opportunità. L’arrampicata per un non vedente non è diversa rispetto a un normodotato, la difficoltà ed i movimenti sono gli stessi, va cambiata la modalità, forse, ma tutto il resto non è dissimile”.
“Come Fondazione – spiega Alberto – organizziamo uscite con i ragazzi delle scuole e stringiamo alleanze strategiche con aziende per portare lo sport al suo livello più completo: quello di strumento di integrazione sociale e benessere psicofisico. Ogni nostra azione è volta a fare in modo che si diffonda una cultura e una formazione dello sport per tutti. Perché per noi il disabile, per definizione, è un atleta”.
Vero è che, visti i risultati, quella dello sport come veicolo per alleviare alcuni sintomi della disabilità sembra essere un’idea che funziona e porta buoni frutti.
Silvia sorride mentre racconta: “Organizziamo corsi con i ragazzi autistici e siamo noi stessi i primi che rimangono impressionati dai risultati. Osserviamo esterrefatti questi ragazzi che si abbracciano dopo aver scalato, ragazzi non vedenti a cui diminuiscono o scompaiono quei movimenti incontrollati della testa. Parlo delle stereotipie che utilizzano per identificare lo spazio attorno circostante e che con lo sport spesso si annullano perché si acquisisce la capacità di controllare il loro corpo nello spazio in maniera più consapevole e autocontrollata. Ed è fantastico osservare, con il passare del tempo, questi gesti sparire non solo durante l’atto sportivo, ma anche nel quotidiano”.
Quindi quale potrebbe essere il vostro augurio per il futuro?
“Abbiamo ancora tanti progetti da realizzare – suggerisce Alberto – come Fondazione ci sentiamo in dovere di sensibilizzare anche agli enti pubblici affinché introducano in modo stabile lo sport nelle politiche sociali”.
“Io penso ai genitori dei ragazzi disabili – ci dice Silvia – e penso a tutti quelli che hanno creduto nello sport e grazie al figlio disabile sono tornati anch’essi a sciare o a camminare in montagna. Questo, credo, è il traguardo più importante di tutti”.