
Ultimo assalto… vetta o ritirata definitiva?
Ci avviciniamo al termine del racconto di Ermanno, dopo le fasi precedenti della spedizione:
“Ora però seguono dei giorni veramente terribili. Un vento fortissimo e continua a nevicare. Le ore nella ledge diventano interminabili. Le possibilità di poter tentare l’assalto finale alla vetta diminuiscono. Ogni giorno puliamo il telo interno e tutta la neve cade sul pavimento che noi diciamo “spazziamo”… Puliamo con un piccolo asciugamano per spostare il nevischio e il ghiaccio almeno e liberare così il pavimento per poter stare un po’ più asciutti. Anche prendere la neve per fare l’acqua è sempre una bella impresa. Meglio che non scriva quello che costa andare in bagno. Però siamo qui, appesi, e ci si deve adattare all’ambiente. E anche i viveri scarseggiano. Da ormai tre giorni siamo bloccati. Certi colpi di vento fanno veramente paura e le ledge si alzano e si staccano molto dalla parete. Lo sbattere violento del telo fa una musica assordante. Ormai del boato continuo dei seracchi che cadono in giro quasi non ci facciamo più caso. I viveri scarseggiano. Rolo dice che il tempo rimarrà pessimo anche per i prossimi giorni. Che fare? Sotto di noi non abbiamo più corde fisse. Qui c’è ancora qualcosa ma di certo non bastano per arrivare fino al ghiacciaio alla base. Il 21 mattina prendiamo la decisione di scendere. In qualche modo ci arrangeremo. Partiamo presto ma alla truna ci arriviamo solo verso le 18. Distrutti e, sorpresa… qualcuno, a cui saranno arrivate tutte le nostre parolacce e imprecazioni, per curiosare, ha spostato il telo all’ingresso. Dentro è pieno di neve e per farci posto ‘sbadiliamo’ quasi 3 ore. Però a essere in truna sembra di stare in un paradiso. Il silenzio assoluto, nessun pericolo di cadere e… quanta neve per farci l’acqua! Anche qui abbiamo poca roba di mangiare ma quel po’ di roba che abbiamo ancora in parete, finché siamo qui, non la mangerà nessuno. Il giorno dopo il tempo fa veramente schifo. Il vento è fortissimo e la neve continua a cadere. E il giorno dopo ancora. Eolo non smette un attimo di soffiare. Lo sentiamo e vediamo solamente perché la neve sul telo-porta continua a riempirsi. Siamo bloccati e, se non per le cose impellenti, rimaniamo chiusi nella casita de los Tehuelches. Fuori un inferno fra vento e scariche, in giornate così il nostro mondo sembra veramente terribile. Molti dei giorni passati in parete erano così ma almeno in truna c’è una musica piacevole: è quella che suonano e cantano Ale e Giorgio con l’ukulele. Il meteo sembrava desse bel tempo e così il 25 novembre siamo pronti a ripartire. La mattina sembra che “possa andare” e partiamo ma dopo solo un quarto d’ora la bufera ci convince a tornare indietro. Ottima scelta.
Ripartiamo il giorno dopo. Sappiamo che sarà il nostro ultimo tentativo. Il tempo è bello e fa pure caldo. Tutta la prima parte la dobbiamo ri-arrampicare perché non abbiamo le corde fisse. Poi la parte difficile. Fatichiamo a risalire le fisse perché siamo abbastanza stanchi e questo crediamo sia anche dovuto al poco mangiare. Raggiungiamo il vivac de lo Cuatros. Ci sono le ledge da rimontare e l’acqua da fare. Alessandro e Giorgio salgono sulle corde fisse e arrivano al grande tetto che Ale, brillantemente, riesce a superare. E così siamo sulla parete finale. La mattina dopo con Mirko ci alziamo alle 3.50. L’acqua, la colazione, i ferri mancanti e avanti. Verso le ore 7.20 inizio un tiro ‘duretto’ sopra il grande tetto. Il vuoto sotto di noi è esagerato. Verso mezzogiorno arrivano anche Giorgio e Ale che prosegue sul tiro successivo lungo una serie di diedrini. Poi tocca a me. A sinistra oltre lo spigolo ci sarebbe una fessura invitante ma si perde nel nulla dopo una decina di metri. Allora proseguo in un diedro infido che non sembrava male. Con una discreta fatica salgo una ventina di metri e poi mi trovo… perso nel nulla. La fessura che vedevamo non esiste più… che fare? Ci scambiamo quattro parole e poi scendo da loro. Decisione dura ma rinunciamo… Portiamo giù tutto e alle 21.30 siamo alle ledge.