Jozef Kristoffy ripete “Hotel Supramonte”


Lo scorso aprile l’atleta slovacco del Team CT, Jozef Kristoffy, ha ripetuto gli undici tiri di “Hotel Supramonte”, nel canyon di Gorropu, in Sardegna, una delle vie multipitch più impegnative al mondo: 380 metri, di cui 25 in strapiombo già nei primi 100.

Jozef ha iniziato a scalare la mattina presto, chiudendo la via durante il suo ultimo giorno in terra sarda. I primi quattro tiri li ha liberati al primo tentativo, mentre sul quinto ci ha girato due volte, dopo essere caduto all’altezza del passo chiave. Insieme al suo compagno, Milan Misovic, ha poi liberato i tiri successivi, gli ultimi addirittura sotto la pioggia, fortunatamente non abbondante: verso le 20,30 Jozef è arrivato in cima. Il successo è giunto dopo un primo tentativo durante il quale il climber non era riuscito ad andare oltre il quinto tiro. Ad assicurarlo, Tibor Bellak.

«…L’anno scorso ho trascorso l’intera estate tra le montagne del Kirghizistan: è stata una spedizione fantastica, ma come accade spesso con le prime salite ad alta quota non si arrampica mai tanto, e quando sono ritornato ci è voluto un po’ di tempo per riadattarmi. Dopo essermi confrontato con il mio allenatore, Peter Slivka, insieme abbiamo capito che “Hotel Supramonte” si sarebbe potuto dimostrare un obiettivo stimolante, anche se avrebbe richiesto un duro lavoro e una certa programmazione, perché ero privo di esperienza su questa tipologia di vie».

«…”Hotel Supramonte” è una delle vie multipitch più belle che io abbia mai scalato. Proprio come in Patagonia, in Kirghizistan o sui monti Tatra, una via, per essere bella e apprezzata, richiede una combinazione di circostanze: ho tenuto la pinzata sul terzo tiro e non sono scivolato, il piede sinistro sul quinto tiro era adeso alla roccia, sul nono ha smesso di piovere. In queste situazioni non c’è altro da fare che dare il massimo, e il risultato è fuori dal controllo dello scalatore».

«…Più o meno sul quinto tiro ho avvertito una strana sensazione: ho notato del sangue che usciva dalle punte delle dita delle mani e da sotto i jeans, dalle ginocchia; anche il dolore alle dita dei piedi era straziante, e mancavano ancora 250 metri su una roccia tagliente e strapiombante. Da quel momento, per raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissato, ho iniziato a trasformare il dolore in motivazione».