Ernia? No, grazie!


«Ritorniamo a parlare di schiena ma, questa volta, affrontando un argomento più specifico: l’ernia al disco.

Innanzitutto, il disco intervertebrale è una struttura interposta tra due vertebre che fornisce stabilità alla colonna vertebrale, garantendone contemporaneamente la mobilità. Il disco è formato dall’anulus fibroso che circonda e contiene il nucleo polposo. Con l’avanzare del tempo e, parallelamente, della degenerazione discale, l’anello fibroso può presentare fessurazioni che permettono l’estroflessione di parti del nucleo polposo.

In un’elevata percentuale di adulti, soprattutto dalla terza decade in poi, si rileva questo tipo di degenerazione incidentalmente, tramite l’esecuzione d’indagini strumentali in totale assenza di sintomi. Infatti, solo nel 5-10% dei casi si stabilisce una chiara correlazione tra il riscontro strumentale e il dolore lamentato a livello della schiena.

Quindi, in quali situazioni l’ernia può essere effettivamente sintomatica?

Nel caso in cui fossero stimolate solamente le fibre dell’anulus fibroso, si scatenerebbe, principalmente, un dolore a livello della zona lombare. Se l’infiammazione locale coinvolgesse, invece, anche la radice del nervo del livello corrispondente, ecco che la sintomatologia lombare sarebbe associata anche a un dolore di tipo radicolare (sciatica o cruralgia). Se, infine, l’ernia comprimesse la radice del nervo, comprometterebbe la conduzione della fibra stessa, provocando una radicolopatia con conseguente alterazione di forza, sensibilità e riflessi.

E’ logico pensare come queste tre diverse condizioni patologiche abbiano implicazioni significativamente differenti nella gestione e, soprattutto, nei tempi di recupero clinico. Quel che è certo che solo una piccolissima percentuale di queste situazioni richiede un trattamento di tipo chirurgico perché la patologia discale ha tendenzialmente un andamento benigno e, il più delle volte, presenta una regressione spontanea dei sintomi.

Dunque, cosa fare o come comportarsi in caso di sintomatologia dolorosa?

Nel caso di un vago dolore lombare, in assenza di ulteriore sintomatologica nervosa specifica, al contrario di quello che si pensa comunemente, è fondamentale rimanere attivi, limitando il più possibile il riposo a letto. Quest’atteggiamento attivo permette di mantenere, per quanto possibile, la schiena mobile e la muscolatura tonica, velocizzando via via il recupero.

E’ necessario, inizialmente, modificare o adattare le posizioni che scatenano il dolore. Il più delle volte queste sono la posizione seduta e i piegamenti in avanti. E’ utile, pertanto, porre un sostegno lombare durante la posizione seduta e cercare di alzarsi e camminare circa ogni 30’; per agevolare il piegamento anteriore, utilizzare soprattutto le anche e le ginocchia.

 

Nel caso, invece, di sciatalgia, oltre a rimanere attivi e cercare di modificare il più possibile le posizioni scatenanti il dolore, è consigliato, inizialmente, posizionare l’arto colpito da dolore in posizione di scarico. Infatti, quando la radice del nervo è infiammata, come durante una sciatalgia, non sopporta l’eccessivo stiramento. In questo caso, può essere utile anche l’utilizzo di farmaci sintomatici che il vostro medico curante potrà prescrivere.

In caso di radicolopatia con deficit sensoriali e di forza, l’aspettativa di un miglioramento deve essere congrua con la serietà del problema. Infatti, se nelle prime due condizioni si assiste a una risoluzione dei sintomi nell’arco di 4-8 settimane, nel caso di una radicolopatia è, solitamente, necessario attendere molti mesi prima che il nervo riprenda la sua normale conduzione. Il trattamento rimane, anche in questa situazione, sintomo guidato; è meglio, allora, preferire le direzioni di movimento che riducono il sintomo periferico, limitando quelle che riproducono il sintomo a carico dell’arto inferiore.

In caso di lombalgia e, soprattutto, in presenza di sciatalgia e/o deficit di forza e sensibilità all’arto inferiore,  è indicato, sempre, riferirsi a personale sanitario specializzato, per intraprendere il percorso terapeutico più adeguato».

Articolo a cura di Silvio Reffo