
Un’idea che si insinua diventa un progetto: Unità di Produzione
Per descrivere una giornata come quella di oggi abbiamo bisogno di tutti e cinque i sensi…e forse non basteranno.
Per cominciare la vista deve essere inclinata, lo sguardo rivolto verso l’alto. Non basta alzare solo gli occhi perché se sei sotto a un blocco che parte con uno strapiombo di 50 gradi devi proprio buttare indietro tutta la testa, sollevare il mento tanto da farti aprire la bocca per vedere fino in cima al boulder. L’uscita poi, non la vedi proprio se sei sotto, occorre per forza fare 4 passi indietro e solo allora la vedi, eccola lì, la placca dopo la rimonta. Una volta in placca il grosso della fatica è fatto.
- Studio della presa
- Davide Manzoni
- studio del blocco
- Team CT
Per il resto la vista è appagata, oggi i colori hanno uno spettro talmente ampio da completare una tavolozza, è la magia dell’autunno. L’azzurro, però, è predominante. Un po’ per il cielo limpidissimo e un po’ per gli occhi di Matteo, azzurri e limpidi anche loro.
Il protagonista della storia che vi stiamo raccontando è Matteo Manzoni, classe 2000. Un ragazzo che arrampica da diversi anni, alternando il boulder su roccia alle gare. Fa parte della nazionale italiana e nel suo palmares ci sono già diversi titoli e medaglie. Oggi, però, non parliamo di gare. La sveglia è suonata presto perché l’obiettivo è un viaggio in Val Masino per provare un progetto che è entrato qualche mese fa nella testolina di Matteo e che non è più uscito. Solo un anno fa gli sembrava inarrivabile e impossibile. Da un mesetto, invece, si è insinuata nella sua testa un’idea di come risolverlo, un cambio di una method tradizionale che potrebbe essere vincente.
- Uno sguardo su
- Studio del blocco
Il profumo di questa giornata d’autunno è quello di sottobosco, di terra umida, misto all’odore della magnesite, sia quella liquida, che Matteo mette sempre prima di ogni tentativo, che quella in polvere, usata per pulire le prese prima di provare il blocco. Il suo blocco. Almeno per oggi, infatti, quello è solo suo. Nessun altro climber si avvicinerà a disturbare i suoi tentativi. Sarà perché non è alla portata di tutti: “Unità di Produzione”, infatti, non è un blocco che si presta ad essere provato senza una preparazione, senza un alone di riverenza che solo i blocchi storici della Val di Mello sanno regalare. Simone Pedeferri, l’architetto dei blocchi di tutta la valle, è un tracciatore artista. Con assoluta precisione, e un certo estro, scova delle linee su blocchi che sono per metà nascosti dalla vegetazione, che per arrivarci e pulirli ci vuole tempo, lavoro e dedizione. Una volta pronti, però, offrono ai boulderisti delle esperienze e delle giornate uniche come questa. Unità di Produzione è un blocco situato proprio dietro al Sasso Remenno, nascosto, rivolto a nord rimane riparato e all’ombra in ogni stagione dell’anno. Ha un certo fascino perché è stato liberato da Cristian Brenna nel 2001 ed ha una brevissima lista di ripetizioni tra i quali spicca il nome di Chris Sharma.
- Matteo Manzoni
- Studio della presa
Il gusto di questo sabato 24 ottobre è quello di barrette di sesamo misto al tè alla menta caldo preparato alle sei del mattino dal papà Davide. Un gusto dolce e zuccherino pieno di affetto paterno. Davide sa quanto sia importante per Matteo questa sfida, lo sa perché anche lui ci è passato, lui che arrampica da una vita ed è stato uno dei pionieri del bouldering orobico. Solo un padre così sa stargli vicino senza pressione, perché comprende che l’ansia da prestazione addosso non aiuta, sa cosa dire, sa stare al suo posto e quando serve lo prende ancora sulle spalle per sollevarlo a provare una presa. Esattamente come faceva quando Matteo era bambino, ancora oggi, con lo stesso entusiasmo e un pizzico di umorismo; Davide scherza e dice: “Ma come fa a piacerci uno sport così?”. E sdrammatizzare anche serve, per allentare la tensione e provare a non pensare troppo al fatto che sono già un paio d’ore che Matteo sta provando questi primi 3 passaggi che vengono bene ma poi la quarta presa scivola sempre. Dopo essersi calato dall’alto per pulire una ad una tutte le prese e metterle in condizioni, infatti, Matteo si è messo le scarpette e ha cominciato subito i tentativi della parte bassa del blocco. Ha capito che quella presa va tenuta bene ed ora, sulle spalle di suo padre, cerca di memorizzare il punto esatto dove, all’interno della presa, sentire il cristallo di granito e non perderlo quando lo proverà da sotto.
- Unità di produzione
- Unità di produzione
- Unità di produzione
Senza ombra di dubbio, tra i cinque sensi, il tatto è quello che oggi vince sugli altri quattro. È con le mani e con i piedi che si scala, che si sentono le prese, che si memorizzano le method, che si spazzola ogni piccola sporgenza di questo granito; sono le mani che sondano l’aderenza, si riempiono di polvere di magnesio e fanno un male cane quando si spelano. Mani e piedi segnati dai tentativi, e più il tempo passa e più la loro situazione peggiora, non c’è niente di peggio che grattare dove la pelle è già sottile e dolente. Matteo tiene duro e stringe i denti. Si versa ancora una volta la magnesite liquida sulle mani che ormai, essendo pomeriggio inoltrato, non distende più completamente. E’ tirato in viso perché i tentativi si sono infranti più o meno tutti sullo stesso passaggio. Prima di tirare su il piede sullo spigolo, la mano sinistra che incrocia la destra viene giù. Sistematicamente. E gli scappa anche un: “E’ tutto inutile, perdiamo solo tempo”. Si infila la testa sotto il giubbino e chissà cosa pensa. Poi si alza, si toglie la felpa, infila le scarpette e senza nemmeno più rimettersi la magnesite dice: “Faccio l’ultimo giro”. Ormai sono quasi le quattro, il sole è già sceso dietro il pendio a ovest, si è levato un leggero venticello gelido, si sente il rumore della ferraglia dei climbers con la corda che sul Remenno stanno sbaraccando e lo stomaco vuoto comincia a brontolare. Ma un ultimo giro non si nega mai a nessuno.
- Faccio l’ultimo giro
- Giro buono
- Ultimo giro
Matteo parte, i primi passaggi, fatti sempre da manuale, stavolta, invece, vengono sporchi. Ma tiene. Perde un piede. Ma tiene. Sbandiera anche due volte. Ma tiene. Mette la mano sulla fatidica presa maledetta. La tiene. La tiene!! Respira forte, sa che non deve perdere la calma, altrimenti butta tutto in fumo. Respira e mette il piede sinistro preciso in quella presa che poco fa era sotto le mani, poi spinge con tutto il corpo e rimonta in placca, lì non è ancora finita, bisogna scalare bene e stare calmi. Matteo è intelligente, in fondo è un ragazzo che sa risolvere un cubo di Rubik, rallenta la sua scalata, gli occhi vedono già quel cielo azzurro ma i piedi devono ancora scalare bene. Respira più forte, prima due piccole tacche da arcuare, si porta verso sinistra, accoppia l’ultimo grosso svaso in uscita ed è fuori, chiude il “suo” blocco.
Abbiamo dimenticato l’udito? Assolutamente no. Il suono di oggi è un grido liberatorio di esultanza che alle 16.02 ha squarciato il cielo e che è arrivato fino in fondo alla valle. Un urlo che svuota la tensione accumulata in una giornata di tentativi, che cancella le imprecazioni e la disperazione, che certifica la vittoria. Anche papà Davide mescola gioia e orgoglio insieme: “Chi non pratica questo sport non può capire quanta gioia c’è nel riuscire a chiudere un blocco ”. E i sospiri di gioia prendono il posto delle sbuffate, i sorrisi dei visi tirati, la leggerezza scaccia via l’ansia. Una giornata che Matteo riporrà nel cassetto della memoria nella quale solo un sesto senso può avergli suggerito: fai un ultimo giro.
Foto e testi: Paola Bergamelli
Video: Alberto Orlandi
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